La follia e l’atrocità dell’uomo

Autore Carlo Di Stanislao

Si odiano gli altri perché si odia sé stessi
Cesare Pavese

Credo nel Dio che ha creato gli uomini, non nel Dio che gli uomini hanno creato
Alphonse Karr

Brembate, provincia di Bergamo. Il presunto assassino di Yara, incastrato dal dna, scopre di non essere figlio di suo padre, ma di un uomo defunto. un padre scopre che suo figlio è accusato di omicidio e che non è suo figlio. Una mamma aveva scoperto da tempo che suo figlio era ricercato, ma era rimasta in silenzio per non scoprirlo: quel figlio lo aveva avuto da un uomo che non era suo marito. Motta Visconti, provincia di Milano. L’assassino corteggia una collega di lavoro, ne viene respinto e si convince che la ragione del rifiuto sia la sua condizione di uomo impegnato, con moglie e figli a carico. Il divorzio costa troppo. così mette a letto i bambini, fa l’amore con la moglie, per sfogarsi o per calmarsi, ma non si sfoga e non si calma. Si alza, invece, e va in cucina a prendere un coltello.

I bimbi cadono nel sonno, sacrificati come agnellini, la moglie muore da sveglia e fa ancora in tempo a chiedergli “perché”. Bella domanda. Ma lui non risponde. Si lava le mani e va al bar a vedere la partita Italia-Inghilterra. Il mostro ti passa accanto, spesso abita sul tuo stesso pianerottolo o addirittura in casa tuo, è pronto a colpirti, nella maniera più feroce. Può sembrare la più inoffensiva delle persone, essere considerato un mite da conoscenti ed amici e poi, sgozzare moglie e figli, fare una rapida doccia ed andare a guardare la Nazionale in tv, al bar con gli amici, gioiendo della vittoria dei nostri colori.

Dopo quanto è successo a Milano e dopo la confessione del colpevole, il mostro feroce sotto le sembianze di un minuto e inoffensivo commercialista, tutti a parlare di Freud e Dostoevskij, tutti a citare le apparentemente quiete dinamiche familiari raccontate da Tolstoi, tutti a ricordarci che gli assassini vivono spesso nella stessa casa delle vittime, sono quelli che hanno la loro fiducia e per questo capaci di sorprendere alle spalle mogli, trucidare figli e tentare di farla franca costruendo (im)probabili alibi e contando sulla solidità di nervi che per fortuna a volte cedono. “Perché mi fai questo?”, ha urlato la moglie mentre lui la trafiggeva ripetutamente con un coltello da cucina, dopo che avevano fatto l’amore nel salotto adiacente all’ingresso.

Ma chi può rispondere a questa domanda e chi conosce tanto l’abbisso umano da dire come si possano uccidere due figlioletti, la più piccola di soli 20 mesi. La follia è in agguato ed è in agguato il demonio, come ci ha narrato Robert Bresson. Ma qui non si tratta di un film, ma della vita reale, quella di tutti i giorni, in cui non è un cineasta, ma l’atroce melmosità della vicenda a dirci dell’esistenza non solo metafisica del Male. A pochi chilometri, nello stesso giorno, gli esperti hanno identificato, pare, con un sequela di test sul DNA, l’assassino della piccola Yara, lasciata ad agonizzare su un prato, dopo tre colpi al capo e numerose coltellate inferte con crudeltà in diverse parti del corpo; mentre oggi, di nuovo a Milano, si è consumato un altro incubo feroce: tre uomini accoltellati di cui uno morto, aggrediti da uno stesso uomo che è già stato fermato, con il ricordo dell’11 maggio 2013 quando il ghanese Adam Kabobo uccise alcuni passanti ignari a colpi di piccone.

Stavolta il colpevole però è un italiano, di 34 anni, fermato in stato confusionale sul ponte Bresso. La follia ci abita accanto, ci sfiora, pronta a colpire con insensata ferocia. Nella filosofia religiosa il problema del male nasce dalla necessità di spiegare come una divinità che è infinitamente buona, onnipotente e onnisciente lo possa consentire ed il libero arbitrio non serve a placarci. Un altro concetto diffuso progredisce oltre il succitato, definendo il male come una relativa assenza di Dio, affermando che una correlazione è di solito posta tra caldo e freddo, o luce e buio e proprio come freddo e buio non “esistono” veramente, se non come un confronto (meno caldo arriva, più freddo si sente) così anche il male non esiste veramente, se non come un confronto (meno Dio è incluso, più malvagio è un qualcosa).

Questo confronto non contraddice l’onnipresenza di Dio, poiché l’energia è presente anche nelle cose fredde. Concetti come quello taoista dello yin e yang, suggeriscono che il male e il bene sono opposti complementari all’interno di un tutto e se uno scompare, l’altro anche deve scomparire, lasciando il vuoto. Questa idea filosofica prevede però la compassione a tutela dell’uomo ed è pertanto necessario compatire, amnche quando si tratta di individui che si sono macchiati di orrendi delitti. Non ci resta che penasare, per non far vacillare interamente coscienza e ragione, al filosofo e teologo Thomas Jay Oord, che sostiene che l’aspetto teorico del problema del male è risolto se si postula che la natura eterna di Dio è amore, per cui, di necessità amorevole, Dio dà sempre libertà e/o agenzia ad altri, e non può fare altrimenti, sicché attraverso quella che ui chiama “Kenosis Essenziale”, dice che Dio si è involontariamente auto-limitato; ma, a volte, sembra si sia limitato del tutto.

Anche ricordare il  male può essere un piacere quando il male è mescolato non dico al bene ma al vario, al mutevole, al movimentato, insomma a quello che posso pure chiamare il bene e che è il piacere di vedere le cose a distanza e di raccontarle come ciò che è passato”, scrive Italo Calvino nel celebre “Se una notte d’inverno un viaggiatore” e ci ricorda come nella storia delle più alte espressioni umane il Mal ha assunto prima i connotati deformi e l’andatura storpia della morte, con il mostruoso avvolge le sue spire intorno a forme oniriche, a visioni e fantasie infernali, agli “errori” impuniti della natura; poi, pian piano, sia germinato nella riflessione, sicché, prima è morte, è inferno, alterazione, spauracchio metafisico; poi diventa personale nella postura, nella gestualità e perfino nella quotidianità, mescolato al normale.

Sicché, dapprima, nel medioevo, si parla con linguaggi opolati di mostri, demoni, dannati, peccatori, quella del Beato Angelico, Bosch, Tiziano, Lotto, Annibale e Agostino Caracci; ma dal ‘600, da Caravaggio a Rubens, da Jusepe de Ribera e Tanzio a Varallo, ai deliri di Magnasco, Fussli, Gandolfi e poi, nell’800, nei deliri di Blake con il suo male mistico, veggente e nel 900 con Bacon, Munch, Balthus, Warhol sino ai contemporanei Music, Ferroni, Kokocinski, Manzelli, il Male, da peccato e ossessione, diviene angoscia esistenziale, che ci permea nel profondo e ci interseca continuamente nella vita. Non c’è Paradiso, insomma, se non si concepisce l’inferno, come se fra i due concetti ci fosse una complementarietà inevitabile. Ma tutto questo, spesso, è tanto difficile da accettare.