Frida in Italia, moltiplicata per due

Di Carlo Di Stanislao
Frida Kahlo Autoritratto con collana di spine

Bellezza e bruttezza sono un miraggio perché gli altri finiscono per vedere la nostra interiorità
Frida Khalo

Ero solita pensare di essere la persona più strana del mondo ma poi ho pensato, ci sono così tante persone nel mondo, ci dev’essere qualcuna proprio come me, che si sente bizzarra e difettosa nello stesso modo in cui mi sento io. Vorrei immaginarla, e immaginare che lei debba essere là fuori e che anche lei stia pensando a me. Beh, spero che, se tu sei lì fuori e dovessi leggere ciò, tu sappia che sì, è vero, sono qui e sono strana proprio come te
Frida Khalo

La vita insiste per essere mia amica e il destino mio nemico
Frida Khalo

Frida Khalo sbarca in Italia con due mostre: la prima a Roma, alle Scuderie del Quirinale, dal 20 marzo al 31 agosto, per indagare il suo rapporto con i movimenti artistici dell’epoca, dal Modernismo messicano al Surrealismo internazionale, analizzandone le influenze sulle sue opere e la seconda a Genova, a Palazzo Ducale, dal 20 settembre 2014 al 15 febbraio 2015, con lei e Diego Rivera, per analizzare il suo dolente universo privato, fatto di sofferenze e al centro del quale vi era il grande, smisurato marito con le enormi tracce lasciate nella sua arte. Il mito formatosi attorno alla figura e all’opera di Frida Kahlo (1907-1954) ha ormai assunto una dimensione globale; icona indiscussa della cultura messicana novecentesca, venerata anticipatrice del movimento femminista, marchio di culto del merchandising universale, seducente soggetto del cinema hollywoodiano, ella si offre alla cultura contemporanea attraverso un inestricabile legame arte-vita tra i più affascinanti nella storia del XX secolo.

Eppure i suoi dipinti non sono soltanto lo specchio della sua vicenda biografica, segnata a fuoco dalle ingiurie fisiche e psichiche subite nel terribile incidente in cui fu coinvolta all’età di 17 anni; ma si fonda con la storia e lo spirito del mondo a lei contemporaneo, riflettendo le trasformazioni sociali e culturali che portarono alla Rivoluzione messicana e che ad essa seguirono. La doppia mostra intende riunire attorno ad un corpus, capolavori assoluti provenienti dai principali nuclei collezionistici, opere chiave appartenenti ad altre raccolte pubbliche e private in Messico, Stati Uniti, Europa, attraverso cui esaminare le traiettorie di tutti i principali movimenti culturali internazionali che attraversarono il Messico del suo tempo e di cui lei fu superba interprete: dal Pauperismo rivoluzionario all’Estridentismo, dal Surrealismo a quello che decenni più tardi avrebbe preso il nome di Realismo magico e che, in letteratura, avrebbe generato cosi come Marques e la Allende. Completa il progetto diviso fra Roma e Genova, una selezione dei ritratti fotografici dell’artista, tra cui quelli realizzati da Nickolas Muray negli anni quaranta, indispensabile quanto suggestivo complemento all’arte di Frida Kahlo sotto il profilo della codificazione iconografica del personaggio.

Se infatti la mostra intende presentare e approfondire la produzione artistica di Frida Kahlo nella sua evoluzione, dagli esordi ancora debitori della Nuova Oggettività e del Realismo magico alla riproposizione dell’arte folklorica e ancestrale, dai riflessi del realismo americano degli anni venti e trenta (Edward Hopper, Charles Sheeler, Georgia O’Keefe) alle componenti ideologico-politiche ispirate dal muralismo messicano (Rivera, Orozco), è il tema dell’autorappresentazione a prevalere in questo progetto di mostra, sia in rispetto del peso numerico che il genere “autoritratto” assume nella produzione complessiva dell’artista, sia – e soprattutto – per lo specialissimo significato che esso ha rappresentato nella trasmissione dei valori iconografici, psicologici e culturali propri del “mito Frida”.Figlia del celebre fotografo e pittore messicano Guillermo Kahlo, Frida diceva di avere visto la luce il 7 luglio 1910. E cioè nel fatidico giorno in cui Emiliano Zapata lanciò la sua rivoluzione per liberare il Messico dagli ultimi resti dell’era coloniale e dalla trentennale dittatura del generale Porfirio Diaz.

Una bugia dettata dalla passione politica che ebbe un ruolo dominante sulle sue scelte fino al suo ultimo respiro. In realtà, però, era nata il 6 luglio 1907 a Coyoacán, un sobborgo di Città del Messico, nella grande Casa Azul, la Casa Azzurra, che oggi ospita il museo a lei dedicato. Minuta e precocissima, Frida rivelò, fin da bambina, quel carattere ribelle e anticonformista che doveva fare di lei una pioniera del femminismo e un’artista pronta a vivere fuori da ogni regola e convenzione. Ma nulla lasciava prevedere la sua vocazione alla pittura: sognava anzi di studiare medicina. Furono poi le malattie che le devastarono il corpo a spingerla verso tele e colori. I suoi drammi iniziarono presto. Aveva solo 6 anni quando la poliomielite rischiò di ucciderla per la prima volta. Guarì, ma si ritrovò con la gamba destra più sottile della sinistra, e con il piede mal sviluppato. Difetti vistosi che le valsero il crudele soprannome di “Frida gamba di legno”.

Da adulta, come splendidamente si vede nel film che porta per titolo il suo nome, prodotto e interpretato da Salma Hayek e diretto da Julie Taymor, accolto tiepidamente dalla critica al Festival del cinema di Venezia del 2002 (ma fu candidato a 6 Oscar e uno ne vinse, e la sua protagonista per un soffio non vinse al BAFTA e al Golden Globe); avrebbe imparato a mascherare i suoi problemi indossando le lunghe gonne delle popolane messicane o addirittura quegli abiti maschili che sottolineavano il suo stile di vita indipendente e anticonformista, e diventarono parte integrante dei suo stile. A 18 anni vide la morte in faccia per la seconda volta: il bus sul quale viaggiava si scontrò con un tram, e l’asta del trolley la passò da parte a parte, lasciandola con molteplici fratture dall’omero al bacino. Si salvò per miracolo, ma i medici trascurarono la lesione che aveva riportato alla spina dorsale. Quando corsero ai ripari, imponendole nove mesi d’immobilità totale, il danno era ormai irreparabile.

Fu comunque proprio durante quel lungo periodo di sofferenza che Frida cominciò a dipingere con maggiore intensità, sia pure senza particolari ambizioni. Colori e pennelli l’aiutavano soprattutto a vincere noia e dolore, e gli innumerevoli autoritratti forse l’aiutavano a dimenticare per qualche ora gli infiniti problemi del suo corpo ferito. Le ci vollero quasi tre anni per rimettersi in piedi e per riprendere una vita quasi normale. Fu allora che andò a trovare Diego Rivera, uno dei pittori più ammirati di quel tempo. Ufficialmente voleva solo mostrar gli i suoi lavori e avere da lui un parere da esperto. In realtà, inseguiva un sogno ben diverso e da parecchio tempo. Frida conosceva infatti Rivera da quando aveva 15 anni e già a quel tempo aveva confidato al suo diario: “Voglio avere un figlio da Diego. Prima o poi glielo dirò”.
La mostra romana è stata curata da Helga Prignitz-Poda, sponsorizzata da Etro e BioNike, e comprende una selezione di circa 130 opere: dipinti e autoritratti, tra cui l’Autoritratto con collana di spine del 1940 mai esposto in Italia, considerato fra i 1000 quadri più belli di sempre.