Un sospiro per Piergiorgio Desiati

Di Carlo Di Stanislao

Fiori di commiato

Quello che il bruco chiama la fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla
Massima taoista

Tutte le sue gocce rosse
caddero a terra, mute,
e poi che furono cadute
il cuore più non si mosse

Giovanni Corazzini


È falso dire che Dio riempie il vuoto; Egli non lo riempie affatto, ma lo tiene espressamente aperto, aiutandoci in tal modo a conservare la nostra antica reciproca comunione, sia pure nel dolore. Ma la gratitudine trasforma il tormento del ricordo in una gioia silenziosa. I bei tempi passati si portano in sé non come una spina, ma come un dono prezioso. A proposito della morte di un caro amico Agostino d’Ippona scrive che in certi casi non vale la frase “spera in Dio”, non vi ubbidisce il cuore, soprattutto quando chi si è perso è migliore di noi. Scrive il dottore sommo della Chiesa: “Da questo dolore il mio cuore fu ricoperto di tenebra, e tutto ciò che vedevo era morte. E la patria era per me un supplizio, e la casa paterna una incredibile infelicità, e tutto ciò che avevo messo in comune con lui, senza di lui si era mutato in una sofferenza lacerante. I miei occhi lo cercavano dovunque, e non lo trovavano; e odiavo tutte le cose perché non avevano lui, e non potevano più dirmi: Eccolo, verrà”.

Il problema della vita, e della morte, ricorre spesso negli scritti taoisti. L’esistenza universale non è altro che un perpetuo avvicendarsi di trasformazioni e di fenomeni: il fatto più evidente di questa vicenda, è il continuo ed eterno alternarsi di esistenza e cessazione di questa. Secondo le idee occidentali, la morte è l’antitesi della vita: sono due termini diametralmente opposti, senza alcuna attinenza, assolutamente antitetici. Il taoismo al contrario considera la vita e la morte in stretta relazione tra loro, come due stadi necessari della vita universale sulla terra, e della vita individuale degli esseri. La morte è dunque vista come un processo, naturale e persino positivo. Il taoismo ha però ben chiara la differenza fisica che si ha tra vita e morte, sia Laozi che Zhuangzi spiegarono questo concetto, il primo più sinteticamente, il secondo in modo più concreto.

Ma ora a nulla valgono le spiegazioni e mi manchi, terribilmente. PG, come lo chiamavano gli amici e come ho iniziato a chiamarlo io, dal 1978, col mio arrivo in quella che ora chiama la mia città, fu fra i primi a regalarmi sorrisi e strette di mano. Venivo da fuori, come nascita (Roseto) e formazione (Perugia) e, com’è noto, gli aquilani, come in genere i montanari, sono diffidenti. Ma Piergiorgio mi accolse a braccia aperte, cominciando da subito a condividere con me la passione per la nutrizione e la dietetica, la bromatologia non come semplice scienza delle calorie, ma come un modo di guardare al mondo e alla vita, a partire dagli alimenti. Ti ho rivisto due giorni prima della tua dipartita, smagrito ma non spento, corroso dal male infido e improvviso, ma ancora attraversato da palpiti di vita.

Abbiamo commentato l’articolo di Valter Vico su La Stampa, quello contro un modello dissennato di crescita a perdifiato e mi hai detto quanto è folle questo ragionamento, con gli esperti di economia – passi per quelli di destra, ma inspiegabilmente anche quelli di sinistra – che da idioti sostengono che per risolvere i problemi generati dalla crisi economica bisogna riprendere a crescere, perché senza crescita non ci sono opportunità, senza opportunità non c’è lavoro, senza lavoro non ci sono consumi, senza consumi non ci sono opportunità, e così via in una spirale che si allarga senza fine, mentre la domanda vera è: dove andremo a finire di questo passo? Perché la crescita infinta è impossibile e, secondo il concetto di “entropia” in un sistema chiuso, in cui non si scambia energia con l’esterno [e la Terra può essere considerata tale con buona approssimazione a parte l’apporto della energia irraggiata dal Sole] l’energia “ordinata”, cioè quella utilizzabile (petrolio, carbone, gas etc), si trasforma parzialmente – ma inesorabilmente – in energia «disordinata», cioè in una forma non più utilizzabile.

Sei stato un campione, fino in fondo, capace di non cedere mai, fino alla vetta o alla meta, e non so se le mie parole saranno quelle giuste per ricordarti. In tuo onore, credimi, non piangrò e resterò fermo, eroico di fronte a questo ennessimo insulto. Credimi, col mio mestiere e poi col fatto feroce ed ingiusto della terra che tradisce ed uccide, mi sono abituato alla morte, a quella morte che mangia gli uomini, che passa la nuda falce a produrre tanti vuoti nelle nostre già sparute schiere di sopravvissuti. Sono abituato alla ferocia che ti prende di colpo con un coltello o un proiettile o a quella che ti lascia sanguinare sul pavimento. So come trattarla, a cosa pensare quando mi chino su un cadavere. Ma non quella che ti scava all’interno, inaspettata, quella mi induce tristezza, mi incute timore, perché non è un incidente di percorso che si possa scansare stando attenti, ma il destino inevitabile, il saldo del conto. Basta ora, amico buono, basta trattenerti con le lacrime che avevo giurato di non produrre, trattenuto in questo affanno da cui ora ti sei sciolto, per sempre.

Tu eri luce ed in quella sei andato, seguendo Febo sul suo carro dorato, lasciandoci dentro un vuoto che potrà colmarsi, rammentando cosa sei stato e come sei vissuto. Ti mando un ricordo della mia infanzia, quando, temendo la morte, ebbi un consolante racconto da una suora gentile che mi disse che in ogni caso il tuo Angelo con Amore ti prende per mano e ti apre il Cielo e ti fa capire, vedere luminosamente, che la vita è solo un momento della nostra eternità, un momento in cui si torna nel luogo perfetto dove non vi è tensione e tutto è Amore. Pace.
Il tuo amico, Carlo