Subburra Italia

SuburraDi Carlo Di Stanislao

La natura ci produsse fratelli, generandoci dagli stessi elementi e destinati agli stessi fini. Essa pose in noi un sentimento di reciproco amore con cui ci ha fatto socievoli
Lucio Anneo Seneca

Più sappiamo comandare a noi stessi, meno siamo costretti a obbedire agli altri
Dario Bernazza


Alla vigilia di una guerra tra clan criminali, all’alba di una decisiva speculazione edilizia che trasformerà Ostia in una Atlantic City di casinò e cemento, si intrecciano le vicende di un cast foltissimo di personaggi, ognuno con una storia, ognuno con uno scopo, perché, come dice Marco Malatesta, tenente colonnello, servitore dello Stato, che tenta di districare lintricata matassa: “qui non si butta niente, basta che abbia un valore di mercato”. “Suburra”, il romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo scritto per Einaudi, è un ideale sequel delle vicende della Banda della Magliana, ma con una differenza inquietante: “Romanzo criminale” raccontava il passato prossimo della Repubblica, questo il suo inquetante presente.

La città è sempre la stessa, Roma, ma una Roma ancora più noir, con il grottesco che si è impadronito della realtà, dove non c’è più alcuna umanità, per non parlare di pietà, come si capisce sin dal prologo, che è solo l’inizio di una mattanza, di una scia ininterrotta di sangue che pare non fermarsi davanti a nulla. Al centro, quel che esce dalle carte sequestrate al malavitoso Rocco Anacleti, che ”coprivano l’intera area tra l’Eur e i confini della provincia di Latina, passando per Ardea, Pomezia e Casalazzara, con tanto di dettagliate illustrazioni del litorale di Ostia”, firmate da Mailand&Partners, uno dei più prestigiosi studi d’architettura al mondo, a dimostrare che doveva esserci qualcosa di grosso, qualcuno potente e importante dietro ”quegli analfabeti della Romanina” degli Anacleti, che nelle case tenevano sempre accesi i caminetti, estate e inverno, per potervi bruciare di corsa documenti o droga, in caso di pericolo. È chiaro che esisteva qualcuno che era stato capace di pensare di poter trasformare il litorale romano in un waterfront: Boardwalk Empire, Atlantic City, Italia, in un susseguirsi di casinò, alberghi, ristoranti, palestre, yacht, negozi. Una mega speculazione che coinvolge inevitabilmente tutti, a partire dal fatto che c’erano i danni fatti dalle giunte comuniste in Campidoglio, che avevano proclamato ”il mare è di tutti”, con la spiaggia andava liberata, ripulita, magari con una serie di incendi dolosi a stabilimenti e chioschi, come del resto ha raccontato anche la cronaca vera, dei giornali, l’anno appena passato, per una guerra tra clan più o meno potenti. E la lotta tra clan, in vista di un simile bottino, sta alla base del racconto che però vede intervenire una serie numerosa di ogni genere di persone, da quelle al di sopra di ogni sospetto (come si diceva un tempo) ovvero gli Intoccabili, come li classificano gli autori nel loro lungo elenco dei personaggi del romanzo, avvicinando loro i Servitori dello Stato (dal tenente colonnello Marco Maltesta e il capitano Alba Bruni sino alla mela marcia Carmine Terenzi), poi le gang della Romanina e di Ostia, spietatamente usate dagli intoccabili della malavita, detti i Fuoriclasse. E poi ancora ecco i Ribelli, la Gente per bene e altri ancora. Insomma, attorno ai protagonisti le cui vicende coinvolgono e appassionano il lettore, un romanzo corale di un mondo corrotto e quasi senza speranza.

Nel romanzo si respira il clima di una città, di uno stato e di una società che ormai non hanno più valori né punti di riferimento oltre l’egoismo, lo stesso di film come “La grande bellezza” e “Cha cha cha” o romanzi come “Resistere non serve a niente”.
Il romanzo è già stato opzionato per un film, che sarà diretto da Stefano Sollima (quello stesso della serie tv di “Romanzo criminale” ed autore del controverso “ACAB – All Cops Are Bastards”, dello scorso anno), sceneggiato da Stefano Rulli e Sandro Petraglia, il secondo autore delle partitoure di “Mio fratello è figlio unico”; “Il giorno perfetto”; “Romanzo di una strage” e “Educazione Siberiana” e il primo che con lo stesso e con Marco Bellocchio e Agosti, è autore di due film-inchiesta: “Matti da slegare” (1975) e La macchina cinema (1978) e che ha poi lavorartoalla partitura di “Mery per sempre” (1989) e “Il muro di gomma” (1991) di M. Risi, “Il portaborse “(1991), “Arriva la bufera” (1993) e “La scuola” (1995) di D. Luchetti, “Il ladro di bambini” (1992) di G. Amelio, “Pasolini, un delitto italiano” (1995) di M.T. Giordana e “La tregua” (1996) di F. Rosi.
Nel 2004 ha esordito alla regia con il documentario “Un silenzio particolare”, frutto di una dolorosa esperienza personale e nel 2005 scritto la sceneggiatora del film di Michele Placido “Romanzo criminale”. Dato che siamo in tema, si è appreso che molti saranno remake, sequel e film tratti dal teatro e da romanzi nella prossimna stagione del cinema tricolore.
Dopo i “Benvenuti” dal Nord al Sud di Luca Miniero e gli “Immaturi” di Paolo Genovese, arriveranno in sala altri sequel o remake come “Stai lontana da me” rifacimento del film “Per sfortuna che ci sei” (“La Chance de ma vie”) o “Aspirante vedovo” di Massimo Venier con Fabio De Luigi, Luciana Littizzetto. Francesca Archibugi sta lavorando al film “Il nome” remake italiano del film “Cena tra amici” (Le Prenom). Altri film arriveranno dal teatro come “Ti sposo ma non troppo” di Gabriele Pignotta, “Maldamore” di Angelo Longoni e “Ricordati di me” di Rolando Ravello.
Numerosi poi quelli ispirati a libri: “Anita B” di Roberto Faenza ispirato al romanzo “Quanta stella c’e’ nel cielo”, “Il Capitale umano” di Paolo Virzì dal romanzo omonimo di Stephen Amidon, “Limbo” di Melania Mazzucco diretto da Daniele Vicari, “Limanov” di Emmanuel Carrere diretto da Saverio Costanzo e, appunto, il film di Sollima tratto dal romanzo di Bonini e De Cataldo, che ci parla di un paese distruttutto e forse da non salvare, da abbandonare a se stesso perché senza speranza di miglioramento, che ci ricorda, come fa sul suo blog “Vincitori e vinti” Paolo Cadernà, la sequenza de “La meglio gioventù” in cui un professore dice al suo alunno: “l’Italia è un posto bello, ma inutile. È un paese dal quale scappare o al limite da distruggere”.

In questo giorni la stampa ha raccontato (ma in margine ai lutti infiniti del canale di Sicilia e ai guai altrettanto infiniti di politica, economia e governo), il caso di Simone Spergiolin: un bravissimo chirurgo che in Italia avrebbe sofferto il precariato e della situazione piuttosto disagiata della sanità nostrana e per questo ha deciso di andarsene in Inghilterra, costruendosi, in pochissimi anni, una grande carriera fino a diventare il chirurgo più giovane del Regno Unito, a soli 36 anni, tanto da rivestire oggi il ruolo di Primario. In Italia, un percorso professionale di questo tipo sarebbe stato sicuramente improbabile e oltretutto osteggiato da quei “dinosauri” che, come ci racconta il frammento di Giordana, sarebbero da “abbattere”, proprio per le motivazioni dette in precedenza. E questo si verifica in tutti i settori della vita sociale ed economica del Paese: dalla medicina, all’industria, all’economia; dalla finanza, alla politica. Il che rende il clima ancora più irrspirabile e mortale della “Suburra” di De Cataldo e Bonini, una nazione in cui “nessuno è più innocente”, in cui l’arresto di mafiosi, camorristi, ndranghetisti è fatto solo per pubblicizzare e distrarre e dove si contendono lo spaccio, gli appalti, le concessioni demaniali per le spiaggie, le attività commerciali, con la connivenza di politici di ogni colorte e parti del governo ed un familismo selvaggio e diffuso, che uccide del tutto la meritocrazia.

Una Nazione in cui, di fronte alle ripetute tragedie in mare, davanti alle sue coste, con bare affastallate a centinaia, gli stessi governanti che alimentano la guerra in Siria, che ha già provocato oltre due milioni di profughi, quelli stessi che nel marzo 2011, all’ inizio della a guerra Usa/Nato contro la Libia (con 10mila missioni di attacco aereo e forze infiltrate), con il presidente Napolitano che assicurava che “non siamo entrati in guerra” ed Enrico Letta, allora vicesegretario del Pd, che dichiara che: “guerrafondaio è chi è contro l’intervento internazionale in Libia e non certo noi che siamo costruttori di pace”; per ogni barcone che si rovescia versa fiumi di lacrime ed è sempre pronta a proclamare il lutto nazionale. “I governanti che oggi si battono il petto sono gli stessi che hanno contribuito a questa e ad altre tragedie dei migranti”, ha scritto Manlio Dinucci, con il governo Prodi che sottoscrive, il 29 dicembre 2007, l’accordo con la Libia di Gheddafi per “il contrasto ai flussi migratori illegali”, poi il 4 febbraio 2009, con il governo Berlusconi, che lo perfeziona con un protocollo d’attuazion che prevede pattugliamenti marittimi congiunti davanti alle coste libiche e la fornitura alla Libia, di concerto con l’Unione europea, di un sistema di controllo militare delle frontiere terrestri e marittime, per poi pasare, repentinamente, alla guerra contro quel Paese, dopo che migliaia di migranti dell’Africa subsahariana, bloccati in Libia dall’accordo Roma-Tripoli, sono costretti a tornare indietro nel deserto, condannati morte sicura e senza che nessuno e da nessuna parte gridi allo scandalo. Viaviamo, anzi sopravviviamo, in una Nazione dove il denaro comanda e deforma, dove il possesso è l’unico criterio di valore, il corpo è moneta e la violenza un vantaggio commerciale.

Centosessanta anni fa Thoreau accese nel cuore del Paese più mercantile della contemporaneità un dibattito sulla necessità di rivedere presente e destino di una società sempre più diseguale e infelice, condannata a perdere il contatto con la natura per causa della modernità e del capitalismo. Il tema era di attualità anche in Europa, da dove infatti Thoreau prese le mosse ascoltando lo svizzero Rousseau. Come osserva oggi sulla rivista “Granta” Lucas Foglia nel bell’articolo che introduce il suo libro fotografico “A Natural Order” in cui si cita John Zerzan, il cosiddetto benessere contemporaneo, piuttosto che per i sentieri della meditazione e della consapevolezza, passa piuttosto sull’asfalto del possesso e della concupiscenza di oggetti e comportamenti e senza cambiare questo non si cambia nulla, né si pulisce la “Suburra” che ciascino si porta nel cuore.
Nella Roma antica il muro della Suburra serviva da quinta monumentale al Tempio di Marte Ultore, dove si celebravano la vendetta e la sopraffazione, ma con al centro del frontone l’Ara Pietatis Augustae di Claudio, per rammentare a che solo la pietà e l’umanità rendono ogni uomo più giusto e più felice.