Regione Campania A.S.L. Napoli 1
Osp. “San Paolo”
Ambulatorio di Agopuntura e Fitoterapia
Resp. Dott. Ottavio Iommelli
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CONTESTI MEDICO-ANTROPOLOGICI
DELL'USO RITUALE MESSICANO DI ALCUNE SPECIE DI PSYLOCIBEOttavio Iommelli - Marco Nieli - Carlo Di Stanislao
Riassunto: Si analizzano in chiave antropologica, storica e farmacologica alcuni funghi della specie Psylocibe, usati per rituali mistico-magici nell’area tradizionale messicana. Le note bibliografie, a fondo pagina, consentono ulteriori approfondimenti.
Parole Chiave: Psylocibe, rituali mistico-magici, area tradizionale messicana
Summary: Some fungi of the Psylocibe species analyze themselves in anthropological, historical and pharmacological key, used for magical ands mystical rituals in the mexican traditional area. The notes bibliographies, with deep page, concur ulterior deepenings.
Key words: Psylocibe, magical and miystical rituals, mexican traditional area.
PREMESSA
Delle molte specie di Psylocibe usate in rituali a sfondo curativo nel Messico meridionale, alcune sono più o meno conosciute attraverso la letteratura antropologica ed etno-micologica, come Psylocibe caerulescens Mazatecorum Heim o Psylocibe mexicana Heim, altre sono per nulla o poco note, come Psylocibe caerulipes (Peck) Saccado o Psylocibe isauri Singer. Almeno una dozzina di specie del genere Psylocibe sono classificate tra i funghi usati nei rituali messicani, altre specie segnalate appartengono ai generi Panaeolus e Stropharia.[1] Il culto del fungo sacro, che gli Aztechi chiamavano teonanacatl ("carne degli dèi") e i Mazatechi dello stato di Oaxaca ancora oggi definiscono T-ha-na-sa o To-shka ("fungo intossicante"), appare diffuso su gran parte del territorio messicano centro-meridionale dall'epoca formativa e classica (100 a. C.-300 d. C.). Popolazioni come i Chinantechi, i Mije, gli Zapotechi, i Miztechi dell'Oaxaca; i Nahua e gli Otomi del Puebla; i Tarascana del Michoacan usano e venerano ancora oggi questa pianta, come facevano i loro antenati. Sull'efficacia curativa del fungo, che costituisce uno dei fitoterapici forse più usati e diffusi nella storia dell'umanità, si sa ancora poco o quasi nulla. La combinazione di aspetti magico-sacrali e curativi nell'uso rituale della Psylocibe presso parecchi popoli del Messico antico e contemporaneo, costituisce tuttavia un formidabile esempio di pratica medica olistica, capace di integrare la dimensione psicologica, mistica e fisiologica della guarigione.
Il fungo del genere Psylocibe cresce per lo più ad un'altitudine di 1300-1600 metri nei terreni calcarei di querceti o pinete, in prossimità delle radici per lo più coperte di muschio. E' uno dei più piccoli funghi allucinogeni (è alto tra i 2 e i 10 cm e il diametro dell'ombrello misura tra il mezzo cm e i 3 cm), ma anche tra i più potenti. Il colore varia tra l'ocra slavata e il bruno rossiccio, se fresco, tra il verdino e il gialliccio, se secco. Il cappello ha una forma conica o a campanula, negli individui più grandi appare schiacciato e rotondo. I tessuti del cappello assumono un colore bluastro se sfregati. Il gambo è cavo e il suo colore varia tra il bruno-rossiccio e il giallino. Le spore sono color seppia scuro o violacee.
Il "tempo balsamico" dello Psylocibe mazatecorum è tra Giugno e Novembre, soprattutto nei periodi di intensa pioggia. Secondo la mitologia locale, il fungo è il prodotto dell'inseminazione della madre-terra da parte del fulmine, per cui la sua apparizione in determinati periodi dell'anno viene direttamente ricondotta al potere fecondante del temporale. Il fungo si mangia per lo più fresco, da uno a trenta paia, in una cerimonia mistico-sciamanica dagli spiccati caratteri sincretici, chiamata velada. La sovrapposizione di elementi cristiani alla mitologia autoctona appare evidente. Le tradizioni religiose e curative legate all'assunzione di questa pianta sono oggi in pericolo di estinzione, per la concorrenza della medicina convenzionale e per la distruzione incombente dell'ecosistema. Tuttavia, in alcune zone della Sierra mazateca e della Sierra Madre occidentale si continuano ancora a tramandare usanze antichissime collegate al fungo sacro, precedenti addirittura la civiltà degli Aztechi.
ASPETTI STORICO-ANTROPOLOGICI DEL CULTO DEL FUNGO SACRO
Sull'uso rituale dell'"hongo sagrado" da parte delle popolazioni mesoamericane in età pre-ispanica, troviamo notizia nei relatos di cronisti e storici spagnoli dell'era immediatamente posteriore alla Conquista. Le testimonianze di quest'epoca, per lo più ad opera di frati o ecclesiastici, sono fortemente critiche verso l'uso di queste sostanze, considerate diaboliche, perché collegate alla perdita della coscienza e alle allucinazioni. Fray Bernardino de Sahagùn, ad esempio, raccontava come gli Aztechi fossero soliti assumere piante intossicanti come il teonanacatl o il peyotl (Lophophora williamsii) a scopo rituale.[2] Jacinto de la Serna nel 1626 osservava che il "teonanacatl ha… le stesse proprietà dell'ololiuhqui o peyote, perché quando sono mangiati o bevuti, essi intossicano quelli che li assumono, deprivandoli della coscienza, e facendogli credere un cumulo di assurdità".[3] Miguel Hernandez, medico personale e naturalista di Filippo II di Spagna, scriveva nella sua Historia Plantarum Novae Hispaniae che i funghi causano una sorta di pazzia "a volte durevole, di cui il sintomo è una specie di riso incontrollato. Di solito chiamati teyhuintli, questi (funghi) sono giallo intenso, aspri e non sgradevoli se freschi. Ce ne sono ancora altri che, senza indurre il riso, portano alla luce ogni sorta di visione, come guerre e apparenze di demoni. Ancora altri non meno richiesti dai potenti per le loro feste e banchetti, sono considerati di gran valore. Vengono ricercati con veglie notturne, terribili e terrificanti. Questo tipo è bruno e alquanto aspro."[4]
Per circa quattrocento anni non si seppe quasi nulla in Occidente dei culti mesoamericani, grazie all'opera di cancellazione delle usanze locali condotta dai padri cristiani. Un botanico americano di nome Safford propose, nel 1915, l'identificazione del teonanacatl con il peyote[5], un cactus allucinogeno usato ancora oggi in rituali medico-religiosi presso i popoli Huichol e Tarahumari. La sua tesi era che i Nativi camuffavano il cactus, presentandolo come un fungo, per renderlo più accettabile agli occhi degli Occidentali. L'identificazione era favorita anche dalla somiglianza oggettiva dei bottoni di peyote coi funghi essicati. Bisogna aspettare fino agli anni Trenta per giungere a una conoscenza più approfondita degli aspetti chimico-botanici del fungo e della dimensione antropologica a esso collegata.
Un altro etno-botanico americano, Richard Evans Schultes, fu il primo occidentale a partecipare a una velada a Huautla de Jimenez, nello stato di Oaxaca, nel 1937. Da allora in poi, la fama del culto attrasse sempre più numerosi visitatori occasionali, studiosi e viaggiatori da ogni parte del mondo. Nel 1953, un ex-bancario, poi diventato uno dei più grandi studiosi di etno-micologia a livello mondiale, Greg Wasson, si trovò a prendere parte a una velada in Huautla con il curandero Aurelio Carreras, nel corso della quale ebbe una dimostrazione pratica dei poteri di chiaroveggenza conferiti dal fungo. Aurelio, senza conoscere nulla dello scettico Wasson né della moglie russa, rivelò particolari della vita presente e futura della coppia in maniera sorprendente.[6] In seguito i Wasson fecero anche la conoscenza di Maria Sabina, una curandera di Huautla, che era in grado di guarire diversi tipi di malattie fisiche e nervose con le informazioni ricevute dai niños sagrados, di cui arrivava a prendere fino a trenta paia durante la velada. I curanderos apparivano anche in grado di risolvere attraverso la chiaroveggenza piccoli contrattempi della vita quotidiana: "1) se sparisce una giovane sposa, il fungo dice in una visione dove si trova; 2) se è sparito del denaro da un luogo segreto, il fungo rivela chi lo tiene e dove sta; 3) se è sparito un asino, il fungo dice se è stato rubato e verso che mercato è stato condotto per la vendita, o se è caduto in un burrone, dove giace con la zampa rotta; 4) se un ragazzo della famiglia se ne è andato lontano, magari negli Stati Uniti, il fungo darà notizie su di lui".[7] Per quanto riguarda gli aspetti più specificamente medicali del fungo, i curanderos, che dicono di parlare direttamente con Cristo per mezzo di esso, ricevono informazioni circa la malattia del paziente. Questa può essere originata da un'opera di stregoneria, che va quindi contrastata con mezzi magici; può essere curata con i fitoterapici a disposizione della curandera; a volte, risulta essere di esclusiva pertinenza del dottore convenzionale. Il fungo dice anche se il paziente vivrà o morirà, e chi erediterà i suoi beni, in modo che i parenti possono prepararsi.[8]
La velada eseguita da Maria Sabina consisteva in una cerimonia svolta per lo più di notte, implicante l'ingestione partecipata di un certo numero di funghi del genere Psylocibe precedentemente benedetti e nell'accompagnamento canoro del viaje da parte della curandera, la quale riceveva sotto forma di visioni o parlando con lo Spirito Santo le informazioni richieste al fungo. Il canto mazateco di Maria Sabina, pubblicato e studiato da Wasson nella sua opera, appare una componente fondamentale della sua velada, dal momento che gli aspetti psicologici e simbolici del sistema religioso di riferimento appaiono complementari a quelli più specificamente medico-fisiologici: "Donna che tuona io sono, donna che suona. / Donna-ragno io sono, donna colibrì io sono…/ Donna aquila io sono, donna aquila importante io sono. / Donna mulinello del turbine io sono, donna di un / luogo sacro, incantato io sono, / donna delle stelle cadenti io sono…"[9] In caso di impossibilità a guarire, la sciamana, semplice tramite tra il divino e il paziente, si dichiarava impotente, come nel famoso caso documentato di un malato mentale di nome Pefecto.[10]
Dal momento in cui i Wasson conobbero il rituale mazateco, si posero come compito quello di studiare e rendere noto il ruolo svolto dal fungo allucinogeno nella storia dell'umanità. La teoria che elaborarono in numerose opere a partire dagli anni Sessanta[11], sulla base di collegamenti sviluppati su scala mondiale, stabiliva che: 1) alla base di tutte le grandi religioni dell'umanità c'è l'esperienza mistico-sacrale indotta da una pianta allucinogena, che spesso è un fungo; 2) equivalenti della Psylocibe messicana sono individuabili in tutte le regioni del pianeta: dall'Amanita muscaria degli Iperborei, antenati degli Europei, al soma dei Veda indiani; dall'Ergot (parassita della segale cornuta, precursore dell'acido lisergico) usato nei Misteri di Eleusi al Boletus responsabile della mushroom madness dei Kuma (Nuova Guinea); 3) alla fase successiva di sistematizzazione delle religioni corrisponde un processo di rimozione del culto del fungo, non più accettabile agli occhi dei preti cristiani o dei bramini vedici.
Al di là di ogni possibile congettura, l'esistenza odierna di rituali sincretici legati al fungo allucinogeno Psylocibe (come anche di altri generi) in gran parte della Meso- e del Sud-America testimonia senza dubbio della diffusione della pratica in età antica. L'evidenza archeologica emersa in questi ultimi anni supporta questa tesi, dal momento che numerose statuette rappresentanti culti sciamanici legati al fungo sono state trovate nel Nayarit, nel Guerrero, nel Veracruz, come anche parecchie stele Maya nel Guatemala, nel Salvador e nell'Honduras. In Guatemala, il culto appare collegato al mondo dei morti Xibalba e questo collegamento appare documentato anche dal libro sacro dei Maya-Quiché, il Popul-Vuh.[12] Le ricerche del micologo Lowy in Guatemala hanno portato alla luce almeno tre tipi di funghi allucinogeni usati localmente sin dai tempi remoti, tutt'e tre collegati al fulmine (kakuljà) e di cui almeno uno, il Kakuljà Hurakan ("lampo-una-gamba"), appare essere l'Amanita Muscaria e gli altri due probabilmente varianti della Psylocibe.[13] Parecchi motivi decorativi dei templi Aztechi e Maya, come quello dell'"occhio disincarnato"[14], sono stati associati, con maggiore o minore evidenza, al culto del fungo.[15] Un ritrovamento recente, proveniente dalla regione del Popocatepetl, raffigura Xopichilli, il Dio Azteco dei Fiori, che appare in estasi e con il corpo coperto di fiori stilizzati. Lungo il piedistallo, si distinguono cappelli di funghi, forse del genere Psylocibe, "che, nella poesia Nahuatl, erano chiamati "fiori" e "fiori che intossicano"".[16] I vasi dello stile Moche del Peru e i "Telephone bells gods" della Colombia testimoniano della diffusione del culto in Sudamerica, anche se non appaiono quasi tracce odierne dello stesso.[17]
PRINCIPI ATTIVI ED EFFETTI DELL'INTOSSICAZIONE DA PSYLOCIBE
Due tra i principali alcaloidi della Psylocibe, la psylocibina e la psylocina, appaiono i maggiori responsabili delle proprietà "intossicanti" e allucinogene del fungo. Il chimico svizzero A. Hoffmann, autore anche della sintesi chimica dell'LSD, ha studiato per la prima volta nel 1958 la composizione chimica di questi alcaloidi e ne ha notato la straordinaria somiglianza con alcuni ormoni cerebrali, in particolare la serotonina. La somiglianza è data dalla presenza massiccia di un componente chimico base, la tryptamina, che rientra anche nella costituzione dell'amminoacido essenziale triptofano. Tale somiglianza tra i principi attivi del fungo e la serotonina fa sì che essi siano intercambiabili a tutti gli effetti con tale ormone, "come chiavi simili che si adattano alla stessa serratura".[18] Come conseguenza dell'azione degli alcaloidi del fungo all'interno delle cellule preposte alla trasmissione neuronale, le normali funzioni fisiologiche dei sensi e del cervello appaiono dunque stimolate, amplificate ed anche, in una certa misura, alterate. Secondo Hoffmann, la dose minimamente efficace per un adulto di media corporatura è dell'ordine di 6-12 mg di psylocibina, ma dosi maggiori (25-50 mg o anche più) sono richieste per usi sperimentali, terapeutici e "mistici".[19] La psylocibina non è tossica in modo irreversibile né produce assuefazione, anche se uno studio di Hoffer e Osmond mostrerebbe che l'uso prolungato e periodico può essere altrettanto pericoloso di quello dell'LSD.[20]
Tra gli effetti prodotti dall'"intossicazione", nella prima fase vengono riportati vertigini, nausea, ansia, torpore e calore nelle membra; nella seconda, alterazione della funzione sensoriale, che diviene meno nitida e più sfumata, ma allo stesso tempo più sensibile alle modulazioni cromatiche. Allucinazioni auditive e visive sono tra gli effetti descritti, come anche ilarità, sensazioni di paura o angoscia in determinati contesti allucinatori, occasionalmente sudorazione e/o atassia. Segue una terza fase, in cui gli aspetti euforici e psichedelici sono più marcati, fino al down finale, caratterizzato da apatia, stanchezza e cefalea.[21] Altri sintomi descritti da un punto di vista medico-psichiatrico sono la disgregazione della percezione temporale ordinaria[22],
Le alterazioni del sistema neuro-fisiologico non sono così evidenti all'osservatore esterno come nel caso dell'alcool o degli oppiacei. La durata del "viaggio" può variare dalle quattro alle dodici ore, dipendendo da fattori di risposta soggettiva e dalla quantità assunta.
Da un punto di vista soggettivo, i confini tra ego e realtà esterna appaiono aboliti: il mondo degli oggetti appare animarsi e radiare un'energia particolare, che il "viaggiante" percepisce come parte del proprio stesso essere. La struttura del normale schema input sensitivo (trasmittente)/ ego (traduttore) / personalità profonda (ricevente) viene alterata dalle "drammatiche modificazioni biochimiche"[23] indotte a livello cerebrale dalla psylocibina: "il ricevente è sintonizzato su lunghezze d'onda differenti da quelle associate con la realtà normale, quotidiana. Da questa prospettiva, l'esperienza soggettiva della realtà è infinita, dipendendo dalla capacità del ricevente, che può variare grandemente a seconda delle modificazioni biochimiche indotte nel cervello."[24] Mentre nella percezione ordinaria soggetto e oggetto appaiono nettamente distinti, sotto l'effetto della psylocibina i due termini tendono a confondersi l'uno nell'altro. L'esperienza di totale identificazione con una multiforme energia diffusa cosmicamente presenta aspetti di beatitudine come anche di degradazione infernale. Visioni di creature mostruose, paesaggi desolati o figure grottescamente deformate si alternano a esperienze di una natura edenica colta nella sua dimensione vibrazionale profonda. Al culmine del "viaggio" prodotto dalla Psylocibe, vi può essere la percezione di una totale unione mistica con la realtà manifesta, quello che gli Orientali hanno cercato di indicare coi termini di samadhi o satori.
Al di fuori di un contesto tradizionale, la terapeutica moderna ha ricominciato a sperimentare con sostanze psicotrope come l'LSD, la psylocibina e la mescalina, in un campo spesso molto più ristretto di quello caratteristico dell'uso rituale di tali sostanze nei contesti di provenienza. Tra i più interessanti esperimenti condotti con la psylocibina, vi sono quelli indirizzati a pazienti mentali, in cura con metodologie mutuate dalla psichiatria o dalla psicoanalisi. L'uso del principio attivo sintetizzato in laboratorio è già di per sé indicativo della diversità di approccio tipico di tali terapeutiche. Il rilassamento delle barriere difensive tra io e non-io di per sé favorisce i fenomeni di transfert tra paziente e terapeuta. I contenuti rimossi, legati per lo più a esperienze chiave dell'infanzia, possono ritornare a galla attraverso la mediazione della sostanza psicotropa, in una forma che non è quella usuale del ricordare, "ma implica realmente attraversare di nuovo l'esperienza: non è reminiscenza ma reviviscenza, come dice lo psichiatra francese Jean Delay."[25] I due maggiori tipi di metodologie comunemente adottate sono la "psicolisi", tipica della scuola europea, e la "terapia psichedelica", tipica dell'approccio americano. La prima tende, attraverso l'uso di dosi minime e periodiche di psylocibina, al dissolvimento dei conflitti irrisolti anche mediante l'espressione artistica degli stessi, mentre la seconda opera maggiormente con dosi elevate e tende a una ristrutturazione profonda della personalità sulla base dell'esperienza estatica.[26] Nonostante l'impiego di tali terapie nella pratica psicoterapeutica sia ancora sottoposto a critiche, si tratta di alternative all'electroshock o alla chirurgia sicuramente meno dolorose e pericolose per i pazienti, se adeguatamente selezionati e preparati. Ad ogni modo, la psylocibina può rientrare come coadiuvante in un trattamento psicoanalitico, ma non può costituire di per sé il perno centrale della terapia stessa. In genere, si preferisce prolungare il trattamento con psylocibina per un certo numero di sedute, in quanto una riemersione più rapida dei contenuti rimossi non significa necessariamente una guarigione più duratura.
L'assunzione anche da parte del terapeuta della sostanza psicoattiva fornisce, come nel caso della curandera messicana, una conoscenza di prim'ordine dei meccanismi elementari della psiche, permettendo di penetrare meglio nel mondo inconscio del paziente. Esiste chiaramente il rischio "che lo stesso terapeuta possa perdere il contatto con la realtà, fino a condividere, e quindi rafforzare, le idee deliranti del paziente: una situazione che si è già verificata molte volte, anche senza l'intervento di una qualsiasi potente sostanza chimica rivelatrice della mente".[27] Un'adeguata preparazione e motivazione permettono di ridurre notevolmente tale rischio.
Riguardo all'effetto "psicoticomimetico" della psylocibina, va detto che, sebbene l'"intossicazione" da essa prodotta non sia così identificabile con la sindrome psicotica come all'inizio si pensava, tuttavia notevoli analogie esistono tra i due stati. Gli effetti psicotropi della sostanza possono dirci molto sulle modificazioni biochimiche e fisiologiche che subentrano nel caso di stati mentali devianti. Tuttavia, parecchi terapeuti, tra cui alcuni di indirizzo junghiano, hanno ripreso l'idea che il terapeuta debba "assumere un ruolo religioso, spirituale o filosofico"[28]: le teorizzazioni di A. Huxley, di T. Leary e R. Alpert sull'uso esoterico degli allucinogeni ritornano in questo contesto in primo piano, riproponendo una visione più globale del fenomeno. Quello che appare certo, a circa trent'anni di distanza dalla decisione della Food and Drug Administration di proibire la sperimentazione medica negli USA, è che ancora molto rimarrebbe da ricercare sulle possibili applicazioni in campo medico del fungo Psylocibe o del suo derivato sintetico. Dal ruolo eventuale della psylocibina nella cura della dispomania alla sua utilità nel combattere il dolore, specie nelle fasi terminali, ancora troppo poco si sa delle applicazioni mediche di una sostanza che appare tra le più usate e tuttavia misconosciute nella storia dell'umanità.
Indirizzo per chiarimenti:
Dott. Ottavio Iommelli
Servizio di Agopuntura e Fitoterapia ASL01
Ospedale S. Paolo di Napoli
E-mail: [email protected]
[1] La scelta di un fungo piuttosto dell'altro dipende da fattori ambientali, stagionali e anche dalla preferenza espressa dal singolo curandero: maria sabina, ad esempio, usa Psylocibe mazatecorum ma non userebbe mai Stropharia.
[2] B. de Sahagùn, Historia general de las cosas de Nueva España, México, C. M. de Bustamante, vol. 3, 1829-30, p. 241).
[3] J. de la Serna, Manual de Ministros, in W. E. Safford, An Aztec Narcotic, in Journal of Heredity, vol. 6, 309-10.
[4] F. Hernandez, Historia Plantarum Novae Hispaniae, in R. E. Schultes, A. Hoffmann, Plants of God, Their sacred, Healing and Hallucinogenic Powers, Rochester, Vermont, Healing Arts Press, 1992, p. 145-146.
[5] W. E. Safford, Identification of Teonanacatl of the Aztecs with the Narcotic Cactus L. Williamsii, Botanical Society of Washington, D. C., 1915.)
[6] R. G. Wasson, Persephone's Quest, in AA.VV., Persephone's Quest: Entheogens and the Origins of Religion, New Haven, Yale University Press, 1986, p. 36-42.
[7] Ivi, p. 42.
[8] Lettera di E. V. Pike a R. G. Wasson (9 marzo 1953), in F. Benitez, Los indios de México, vol. 3, México, ERA, p. 212-215.
[9] Ivi, p. 149.
[10] Ivi, p. 41; R. E. Schultes, A. Hoffmann, op. cit., p. 150-151. La curandera Maria Sabina, resa internazionalmente famosa dal libro dei Wasson Maria Sabina and her Mazatec Mushroom Velada (New York, Harcourt, Brace Iovanovich, 1974), fu negli anni '60 al centro dell'intenso pellegrinaggio a Huautla di giovani drop-outs, hippies, scienziati (T. Leary e A. Hoffmann) e musicisti (J. Morrison, i Beatles, i Rolling Stones tra altri). Morì tuttavia in povertà, lamentando la mancata promessa di aiuti da parte di parecchi suoi "allievi", Greg Wasson in primo luogo.
[11]R. G. Wasson, V. P. Wasson, Mushrooms, Russia and History, New York, Pantheon Books, 1957; R. G. Wasson, The divine mushroom: primitive religion and hallucinatory agents, in Proc. Am. Phil. Soc. 102 (1958), 221-223; Soma, Divine Mushroom of Immortality, New York, Harcourt, Brace Jovanovich, 1968; R. G. Wasson, A. Hoffmann, C. A. P. Ruck, The Road to Eleusis: Unveiling the Secrets of the Mysteries, New York, Harcourt, Brace Jovanovich, 1978.
[12] I cappelli dei funghi vengono trasportati su di una pelle di cervo sulla cima di una montagna, evidentemente per un qualche uso rituale (The Book of Counsel: the Popul Vuh of the Quiché-Maya of Guatemala, ed. by M. S. Edmonson, Tulane University, Middle American Research Institute, 1971, linea 6266).
[13] R. G. Wasson, Persephone's Quest, op. cit., p. 53-63.
[14] Il motivo di un occhio spalancato e isolato, presente tra l'altro nelle decorazioni di Teotihuacan, è stato ricondotto da J. Ott all'uso rituale del fungo: l'occhio "disincarnato" rappresenterebbe la visione sciamanica indotta dall'"enteògeno". (J. Ott, The Sculpted "Disincarnated Eyes" of Teotihuacan, in AA.VV., Persephone's Quest, op. cit., p. 177-185.
[15] Tra le maggiori caratteristiche dell'intossicazione da psilocibina vi è la produzione di visioni geometriche colorate, il che fa pensare a un ruolo diretto esercitato dall'uso rituale della pianta nell'elaborazione anche di stilemi e motivi tipici dell'arte decorativa mesoamericana. Ancora oggi gli Huicholes del Nayarit fabbricano splendidi prodotti di artigianato, illustrando con tratti astratti e colorati le loro visioni da peyote.
[16] E. R. Schultes, A. Hoffmann, op. cit., p. 151.
[17] Ivi, p. 152-153.
[18] Ivi, p. 173.
[19] A. Hoffmann, Die psychotropen Wirkstoffe der mexikanischen Zauberpilze, in Chimia, 14 (1960), 309-318.
[20] Riportato in B. Wells, Le droghe psichedeliche, aspetti psicologici, medici e sociali, Milano, Feltrinelli, 1973, p. 55-56. Ad ogni modo, tale studio si basa sulla psylocibina sintetizzata in laboratorio, dunque isolata, e non sul principio attivo presente nel fungo, che è da considerarsi un fitocomplesso, dotato di azione sinergica integrata tra le sue componenti. Non esistono dati nella letteratura che indichino conseguenze dannose della Psylocibe sull'organismo, specie se assunta in contesti simbolici e magico-sacrali.
[21] Ibidem.
[22] M. A. Geyer, R. K. Light, G. J. Rose, L. R. Petersen, D. D. Horwitt, L. Adams, A characteristic effect of hallucinogens on investigatory responses in Psychopharmacology, Berlin, Sep. 1979, 65 (1), p. 35-40.
[23] R. E. Schultes, A. Hoffmann, op. cit., p. 176.
[24] Ibidem.
[25] Ibidem.
[26] Il termine "psichedelico", che indica il movimento della psiche manifestantesi all'esterno, fu coniato dallo psichiatra H. Osmond, fondatore dell'approccio appunto "psichedelico" negli anni '60. (E. R. Schultes, A. Hoffmann, op. cit., p. 178.)
[27] B. Wells, op. cit., p. 72.
[28] Ivi, p. 75.